avevo gl’occhi un po’ annebbiati dalle lacrime e dal vento
e trascinavo stanco e assente questo passo sconsolato
nel silenzio addormentato del giardino che regala
strane ombre e movimenti immaginari
oltre lo sguardo perso nel vuoto delle statue di granito
che rappresentano il potere e poi il sudore
di battaglie vinte e perse dietro agl’angoli del cuore
scavavo l’anima e la terra per cercare l’oro azzurro
ma invece cancellavo i passi e le impronte dalle suole
indelebili frammenti e invisibili lamenti
imprigionati dentro al peso di un segreto
labirinti di memorie stanche senza un’emozione
capolavori di follie persi nelle ipocrisie
abbandonando il pregiudizio che mi infanga
e non mi fa dormire sereno poi la notte
non parlavo più con te perché spendevo le parole
dietro al banco dei miei pegni e mi dicevano sicuri
che i miei pregi erano anche i miei difetti
impacchettati senza fiocco e svaniti in un balocco
ho camminato fra le false coincidenze
e mi destreggiavo fra ingannanti maldicenze
e percepivo quel compenso sempre più imponente
nel segreto più importante
ho nascosto il tempo tra la forza delle onde
ma il mare vomitava la clessidra sempre più distante
e mi aggrappavo con le braccia sempre e ancora goffe
a quell’immenso assegno delle beffe
la banchina di quel molo ospitò il mio fiato caldo
e mi sussurrava le parole indecifrabili e inviolabili
incuriosendo l’aria umida e leggera
che spiava con amore il mistero del labiale
neve e sabbia si fondevano al mercato dell’usato
sui prezzari scritti a mano dentro al sole dell’autunno
riscaldato da coperte un po’ bucate
che ho comprato ingenuamente barattando le camicie
ho riparato il palco e le mie vele stanche
e quei fiocchi imbiancavano le mie tele bianche
e mentre parlo tiro i fili dei miei sogni
che mi parlano sereni come fossero dei figli
ho cancellato tutto quel rancore eterno
e ho bruciato ogni mio dolore immenso
svincolando le mie braccia sempre e ancora goffe
da quell’immenso assegno delle beffe.
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